L’atto di rinuncia alla proprietà immobiliare è ammissibile? Con quali limiti? Le sezioni unite risolvono il dubbio interpretativo.

La rinuncia alla proprietà immobiliare è un tema che ha generato molti dubbi giuridici. La Corte di Cassazione, ha chiarito i limiti e le modalità con cui un proprietario può rinunciare alla titolarità di un bene immobile.

Di seguito analizziamo i punti principali della decisione delle Sezioni Unite e cosa comporta, in concreto, per i cittadini e i professionisti.

La questione è stata affrontata con la sentenza n. 23093/2025 pubblicata il 11/08/2025 che ha trattato unitamente due rinvii pregiudiziali, uniti per l’identità delle questioni sollevate al loro interno.

Il primo rinvio è stato richiesto con ordinanza il 23 marzo 2020 dal Tribunale dell’Aquila, dopo essere stato adito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze insieme all’Agenzia del demanio al fine di ottenere la declaratoria di nullità, o di inefficacia nei loro confronti, di un atto con cui un soggetto privato rinunciava alla proprietà di alcuni fondi gravati dal Vincolo Pericolosità Elevata P2 del Piano di Assetto Idrogeologico della Regione Abruzzo.

Rinuncia alla proprietà immobiliare: significato, limiti e sentenza Cassazione

Le amministrazioni ricorrenti sostenevano che tramite l’atto di rinuncia, il convenuto avrebbe voluto trasferire sulla collettività i costi e i rischi relativi alla gestione dei fondi in oggetto e che per questo motivo l’atto doveva essere dichiarato nullo.

Il Tribunale adito ha ritenuto sussistenti le condizioni per disporre il rinvio pregiudiziale alle Sezioni Unite per risolvere la questione di diritto “attinente all’ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su beni immobili, nonché all’eventuale indicazione del perimetro del sindacato giudiziale sull’atto”.

Il secondo rinvio pregiudiziale è stato pronunciato dal Tribunale di Venezia il 23 aprile 2024, il quale doveva pronunciarsi sull’eventuale nullità di un atto di rinuncia della proprietà inerente ad un immobile sito in Belluno compreso nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia, richiesto dal Ministero dell’economia e delle finanze e dall’Agenzia del demanio adducendo le stesse motivazioni prodotte nel ricorso precedente.

Due macro-temi

Le questioni affrontate nella sentenza delle Sezioni Unite possono essere suddivise in due macro-temi: l’ammissibilità nel nostro ordinamento della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà sui beni immobili e l’eventuale sindacato giudiziale che può essere fatto sull’atto di rinuncia.

Sulla prima tematica, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: << la rinuncia alla proprietà immobiliare è atto unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, in quanto modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa accordata dall’art. 832 Cod. Civ., realizzatrice dell’interesse patrimoniale del titolare protetto dalla relazione assoluta di attribuzione, producendosi ex lege l’effetto riflesso dell’acquisto dello Stato a titolo originario, in forza dell’artt. 827 cod. civ., quale conseguenza della situazione di fatto della vacanza del bene. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare trova causa, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un “altro contraente”>>.

Possibilità di alienare

Questo viene affermato in quanto la facoltà di disporre del bene, intesa come “possibilità di alienare” non viene individuata quale caratteristica tipizzante il diritto di proprietà, mentre al contrario il fatto stesso di avere un’oggetto in proprietà implica la possibilità di trasferirlo a terzi, scambiarlo con altre cose e al tempo stesso quindi l’eventualità di rinunciarci da parte del titolare.

Le Sezioni Unite proseguono interrogandosi sulla facoltà di godere delle cose, contenuto del diritto di proprietà, che non può essere scissa dalla facoltà di disporre della cosa e che viene dalle sezioni unite spiegata come il “potere di scegliere la destinazione economica da imprimere ad essa e di utilizzarla in modo oggettivamente apprezzabile”. Appare opinione pacificamente condivisa l’affermazione per cui il diritto di godere delle proprie cose in modo pieno ed esclusivo, rispettando i limiti e gli obblighi che vengono imposti dall’ordinamento, equivalga ad attuare l’interesse patrimoniale del proprietario. Non si può così affermare un dovere in capo al proprietario di disporre e conservare i propri beni in modo funzionale al sistema socioeconomico.

Pertanto, non esiste un dovere di restare proprietario per “motivi di interesse generale” legati all’affermazione della responsabilità per eventuali danni causati dal bene.

La Corte di Cassazione afferma inoltre che per rinunciare alla proprietà su un bene immobile non può ritenersi sufficiente il comportamento materiale di abbandono, ma è indispensabile il compimento di un atto dispositivo. Questo atto si caratterizza come unilaterale la cui unica funzione tipica è di dismissione del diritto, senza occuparsi di destinare il bene o di farlo acquistare ad un altro soggetto. Perché questo produca il proprio effetto, si sancisce che debba essere redatto tramite atto pubblico o scrittura privata e che, per essere opponibile ai terzi, debba essere trascritto.

Inoltre, le S.U. osservano che il bene oggetto dell’atto di rinuncia viene acquisito, ex art. 927 c.c., al patrimonio pubblico per la sovranità dello stato sui beni che non appartengono a nessuno e può quindi delinearsi come effetto riflesso e non interno alla rinuncia abdicativa della proprietà. L’acquisto del bene da parte dello stato non può quindi essere usato come ragione di non meritevolezza ovvero come causa di nullità dell’atto privato di disposizione del bene.

Disfarsi della proprietà

Sulla seconda questione rimessa, ossia l’eventuale indicazione di un perimetro per svolgere un sindacato giudiziale sull’atto di rinuncia, la Corte afferma il seguente principio di diritto: <<allorché la rinuncia alla proprietà immobiliare, atto di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario funzionalmente diretto alla perdita del diritto, appaia, non di meno, animata da un fine egoistico, non può comprendersi tra i possibil margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell’art. 42, secondo comma, Cost., o di nullità per illiceità della causa o del motivo: ciò sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art.42, secondo comma Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per “motivi di interesse generale”. Inoltre, esprimendo la rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile essenzialmente l’interesse negativo del proprietario a disfarsi delle titolarità del bene, non è configurabile un abuso di tale atto di esercizio della facoltà dominicale di disposizione diretto a concretizzare un interesse positivo diverso da quello che ne giustifica il riconoscimento e a raggiungere un risultato economico non meritato.>>.

Questo viene espresso in quanto l’atto di rinuncia esprime l’interesse negativo del soggetto a “disfarsi della proprietà” e il disinteresse a mantenerla, non configurando uno atto diretto all’elusione di norme imperative dell’ordinamento al fine di ottenere vantaggi vietati dalla legge.

Allo stesso modo, la rinuncia non ha il fine di far ricadere sullo Stato gli oneri inerenti sui beni in oggetto, in quanto la responsabilità statale non insorge direttamente dall’atto ma come un suo effetto riflesso per l’acquisto ex lege previsto dall’art. 927 c.c.

Conclusione

In base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione:

  • La rinuncia alla proprietà immobiliare è valida e possibile nel nostro ordinamento.

  • Deve essere formalizzata con un atto pubblico o scrittura privata, da trascrivere nei registri.

  • Il bene diventa automaticamente parte del patrimonio dello Stato.

  • Non esiste un obbligo di mantenere la proprietà per motivi di interesse generale.

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