Rapporto di convivenza prematrimoniale ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.

Le Sezione Unite della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 35385 del 18 dicembre 2023, si sono pronunciate sulla questione della rilevanza del rapporto di convivenza prematrimoniale, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.

La pronuncia trae origine dal ricorso per Cassazione promosso dalla moglie avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Bologna, aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado relativa al divorzio tra due ex coniugi, con cui era stata assegnata la casa coniugale alla ex moglie ed era stato posto a carico dell’ex marito un assegno divorzile di € 1.600,00 mensili e un contributo al mantenimento del figlio di € 700,00 mensili, oltre il 100% delle spese straordinarie.

Convivenza prematrimoniale e assegno divorzile

I giudici d’appello avevano ridotto la misura dell’assegno divorzile in euro € 400,00 mensili e quella del contributo paterno al mantenimento del figlio a € 400,00 mensili, limitandosi a considerare, ai fini della decisione, il solo periodo di “durata legale del matrimonio” (dal novembre 2003 al 2010) non considerando il periodo di convivenza anteriore (di circa sette anni), ritenendo che “gli obblighi nascono dal matrimonio e non dalla convivenza”.

La donna proponeva ricorso per cassazione lamentando l’omessa considerazione da parte della Corte d’appello del periodo di sette anni (dal 1996 al 2003) di convivenza prematrimoniale, durante il quale era nato anche il figlio della coppia, poiché “non vi sarebbero differenze tra il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli”

Le Sezioni Unite, a cui veniva assegnata la controversia ritenendo la questione posta dal ricorso “di massima di particolare importanza”, dapprima, hanno compiuto una ricostruzione del quadro normativo, osservando che l’art.5, comma 6 , l.898/1970, come modificata per effetto della Novella del 1987 n. 74, dispone che «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Modifiche più significative rispetto alla precedente versione

Precisa poi la Suprema Corte che le modifiche più significative rispetto alla precedente versione della norma attengono all’accorpamento di tutti gli indicatori quali:

  • «le condizioni dei coniugi»,
  • il «reddito di entrambi» (relativi al criterio assistenziale),
  • «il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune» (attinente al criterio compensativo)
  • le «ragioni della decisione» (relative al criterio risarcitorio) nella prima parte della norma,

come fattori dei quali il giudice deve «tenere conto» nel disporre l’assegno di divorzio, nonché la condizione dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.

Dunque, i presupposti dell’assegno divorzile, quali individuati dall’art. 5 Legge 898/1970, come interpretato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2008, costituiscono, nel loro complesso, il parametro di riferimento tanto della valutazione relativa all’ an debeatur quanto di quella relativa al quantum debeatur.

In relazione al criterio specifico della durata del matrimonio, posto dall’ art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, quale «filtro» attraverso cui vagliare gli altri parametri indicati dalla norma, a fronte di un risalente orientamento secondo cui il criterio della durata del matrimonio poteva implicare l’azzeramento totale dell’assegno in casi eccezionali di brevissima durata del matrimonio (Sez. 1, Sentenza n. 7295 del 22/03/2013 relativa ad un matrimonio nel quale vi erano stati solo dieci giorni di convivenza e in cui erano passati meno di cento giorni tra la celebrazione del matrimonio e la separazione; Cass. 26.3.2015 n.6164), nella sentenza delle Sezioni Unite del 2018, si sono approfondite le ragioni in forza delle quali il criterio della «durata del matrimonio» ha la «cruciale importanza» riconosciuta nella pronuncia, precisandosi, come la durata del vincolo non assume più rilievo solo ai fini della quantificazione dell’assegno, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell’accertamento del relativo diritto.

A questo punto la Suprema Corte osserva che permane nel nostro ordinamento una differenza fondamentale tra matrimonio e convivenza (e, ciò, anche dopo l’entrata in vigore della Legge 76/2016 con cui è stata riconosciuta la convivenza di fatto tra due persone, sia eterosessuali che omosessuali) fondata sulla differenza dei modelli, dato che il matrimonio e l’unione civile appartengono ai cd. modelli istituzionali, mentre la convivenza di fatto è un modello familiare non a struttura istituzionale, ma sempre più diffuso e radicato nella società.

Precisa la Corte che convivenza e matrimonio sono comunque modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale.

Alla luce dell’analisi compiuta, le Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente principio di diritto:

“Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio”.

In conclusione, la Suprema Corte ha riconosciuto la rilevanza del legame di convivenza che ha unito gli ex coniugi prima del matrimonio, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.

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