Ponteggi e cantieri: indennizzo per l’accesso e risarcimento del danno per i locali commerciali “oscurati”.

All’inizio dell’anno mille, in un’Europa che iniziava ad uscire dalla profonda crisi dell’Alto medioevo, il monaco Rodolfo il Glabro poteva scrivere che “si sarebbe creduto che il mondo, gettando lungi da sé gli antichi vestimenti, s’ornasse di un candido manto di novelle chiese”.

Da quando il decreto-legge “Rilancio” del 19 maggio 2020 ha introdotto il cosiddetto “Superbonus 110%” per i lavori di efficientamento energetico degli immobili, viviamo una situazione che presenta delle analogie. Il numero di cantieri è aumentato esponenzialmente, con effetti visibili sulle facciate dei palazzi di ogni città.

Questa esplosione di cantieri ha riportato in auge una serie di problematiche giuridiche piuttosto interessanti: quella più gettonata, di cui si tratterà qui, riguarda la situazione di chi possieda un negozio (o un bar, un ristorante ecc.) che viene interessato da dei lavori condominiali di ristrutturazione o ammodernamento.

Per il proprietario di un esercizio commerciale, infatti, avere la propria vetrina coperta da grandi impalcature, o avere l’accesso al locale impedito o reso scomodo da un cantiere, è un problema gravissimo, che può creare danni ingenti.

Se si pensa che a causa della normativa sul “Certificato verde” le postazioni all’aperto in bar e ristoranti diventano necessarie per poter accogliere alcune tipologie di clienti (ad es. soggetti immunodepressi che non possono vaccinarsi) si capisce bene quanto bloccare un dehor con un’impalcatura possa cambiare la storia economica di una attività di ristorazione.

Quali principi offre il diritto civile italiano per risolvere queste situazioni?

separazione con addebito

L’indennizzo per l’accesso alla proprietà privata

L’analisi parte dall’art. 843 c.c., rubricato “Accesso al fondo”.

Questo articolo pone dei limiti generali al diritto di proprietà (in conformità all’art. 42, c. 2, Cost., secondo il quale “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”) per la salvaguardia di interessi privati socialmente apprezzabili, ponendo specifiche deroghe allo ius excludendi (il potere di impedire l’accesso al fondo da parte di terzi) del proprietario.

Egli infatti, a norma dell’art. 843, c.1, “deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune”. Il comma successivo chiarisce, però, che “se l’accesso cagiona danno, è dovuta una adeguata indennità”.

Vi sono due elementi essenziali per far maturare il diritto all’indennità, e per quantificarla: l’uno costituito dall’assoluta necessità di accedere al fondo altrui per compiere le opere necessarie, l’altro dalla proporzionalità del danno che il proprietario subisce per l’accesso altrui, e il parallelo vantaggio che ne trae il vicino.

Le facoltà che a questi vengono accordate hanno natura strumentale, nel senso che devono essere fornite sulla base del principio del “minimo mezzo” necessario allo scopo (Cass. n. 3909/1974).

Le questioni più dibattute riguardano

  • A. il significato da darsi all’espressione “sempre che ne venga riconosciuta la necessità”;
  • B. il tipo di opere edili che permettono esercitare i diritti previsti dalla norma;
  • C. la quantificazione economica dell’“adeguata indennità”.
A. il significato dell’espressione “sempre che ne venga riconosciuta la necessità”

Chiarisce la Suprema Corte di Cassazione che “Va, peraltro, aggiuntivamente precisato che – sul presupposto che la necessità, a cui il menzionato art. 843 c.c. subordina il diritto del vicino di accedere nel fondo altrui per costruire o riparare un muro od altra opera propria o comune, non deve essere riferita all’opera da compiere ma all’accesso ed al passaggio – ai fini del riconoscimento di detta indispensabilità, occorre che il giudice del merito proceda ad una complessa valutazione della situazione dei luoghi, al fine di accertare se la soluzione prescelta (accesso e passaggio per un determinato immobile altrui) sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, sia quella che consente il raggiungimento dello scopo (riparazione o costruzione) con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo (v. Cass. n. 1801/2007 e Cass. n. 7768/2011)” (Cass., n. 5012/2018).

Il concetto quindi è che la norma si riferisce alla necessità di passare per fare i lavori, non alla “necessarietà” teorica dell’opera stessa.

Dunque, ogni volta che il giudice “pervenga alla conclusione che il richiedente possa procurarsi “aliunde” l’invocato passaggio, con disagi e costi quanto meno pari a quelli che subirebbe il proprietario del fondo che dovrebbe subire il passaggio stesso, deve escludersi la sussistenza del requisito della necessità” (Cass., n. 1801/2007).

B. Il tipo di opere edili

L’ipotesi configurata dall’art. 843, 1° c., prevede che il proprietario debba consentire il passaggio sul suo fondo solo quando ciò sia necessario per costruire o riparare un muro comune o altra opera del vicino.

La dottrina ha argomentato con successo sulla possibilità di applicazione analogica della disposizione de qua ai casi di demolizioni o di apertura di luci o vedute.

Un orientamento minoritario, però, legge l’art. 843 come norma di eccezione e, applicando l’art. 14 prel., ritiene che la norma non consenta di effettuare scavi nel fondo o nel muro del vicino (Cass. n. 8544/1998Cass. n. 10474/1998).

C. La quantificazione economica del danno

L’art. 843, c. 2, prevede il diritto del proprietario del fondo alla corresponsione di un’indennità “adeguata” se l’accesso del terzo ha causato dei danni.

Questa disposizione configura un’ipotesi di fatto lecito dannoso (cfr. Tucci, La risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto civile, in RDC, 1967, I, 246), in cui un comportamento di per sé giuridicamente legittimo produce delle esternalità che il legislatore qualifica come danno da risarcire.

La norma autorizza l’ingresso del terzo, ma non permette una precisa determinazione dell’eventuale danno patito, che andrà liquidato secondo i criteri generali della responsabilità civile.

Il risarcimento del danno per i locali commerciali

Nel caso i cui le opere siano posizionate sul suolo pubblico o su aree condominiali non si avrà propriamente “accesso al fondo” privato e non potrà trovare piena applicazione l’art 843 c.c..

La norma applicabile al negoziante che sia leso dall’esecuzione di lavori che impediscano o rendano difficoltosa la propria attività è quella di cui all’Art. 1575, contenente i doveri del locatore.

Egli infatti deve “1) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione; 2) mantenerla in stato da servire all’uso convenuto; 3) garantirne il pacifico godimento durante la locazione”. La n. 2 è certamente la disposizione più favorevole; la predisposizione di ponteggi o impalcature necessarie ai lavori, infatti, può arrecare notevole danno, e può rendere un locale poco accessibile oppure nasconderne vetrina ed insegne, sino al punto di rendere totalmente o parzialmente difficoltoso l’utilizzo commerciale.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che l’occupazione di un viale antistante un’attività commerciale comporti di per sé un danno (Cass. n. 67/2013).

Esiste un orientamento secondo il quale, come sintetizzato dalla Corte d’appello di Milano “il conduttore di un negozio di uno stabile che vede protratta per un tempo considerevole l’installazione di un ponteggio per la manutenzione della facciata subisce un danno per limitazione del godimento dell’immobile e può chiedere la riduzione del canone oltre al risarcimento dei danni” (Corte d’Appello Milano Sez. III, 22-04-2013).

A questo punto il proprietario dell’immobile potrebbe agire contro i terzi (il condominio), ma dal momento che la Cassazione ha stabilito che anche il conduttore ha la facoltà di agire in nome proprio contro i terzi in reazione alle molestie di fatto (Cass. n. 25219/2015), anche il singolo negoziante potrà agire direttamente contro il Condominio, facendo valere la violazione dell’art. 2043 c.c..

In ogni caso andrà provata davanti al giudice la diminuzione degli affari e il nesso causale tra questa e le opere che hanno impedito l’accesso o la visibilità ai locali dell’impresa.

Una recente sentenza del Tribunale di Milano 5904/21 ha confermato questo orientamento. Nel caso di specie, il condominio aveva installato un ponteggio per proteggere i passanti e la struttura dalla caduta di detriti dalla facciata esterna, coprendo notevolmente la visibilità delle vetrine e del negozio dell’attore. I lavori, però, erano iniziati con un anno di ritardo per una controversia con la ditta appaltatrice, e l’ingombrante ponteggio era stato mantenuto senza che venisse effettuata alcuna opera. Tale circostanza aveva provocato all’attore un danno ingiusto al proprio diritto di esercitare l’attività d’impresa e di godere dell’immobile locato, poiché il mantenimento del ponteggio per circa 13 mesi senza l’esecuzione di alcuna opera era condotta non giustificata e contrastante, peraltro, con le ragioni di urgenza dell’intervento edile.

Il condominio avrebbe potuto, trattandosi di lavori urgenti, affidarne l’esecuzione ad altro soggetto, senza protrarre le doglianze e il contenzioso contro la prima società.

La decisione di non avviare i lavori edili si configurava come contraria all’ordinaria diligenza esigibile da un condominio nell’eseguire la propria attività di manutenzione delle cose comuni, e quindi foriera di responsabilità per i danni-conseguenza patiti dall’attore ai sensi dell’art. 2043 c.c.

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