La CAUSA DI FORZA MAGGIORE al tempo del Coronavirus

In un momento particolarmente difficile e di incertezza come quello presente, è frequente che un Cliente ci domandi se, alla luce dell’epidemia di Covid-19 che sta mettendo a dura prova il nostro Paese, sia possibile non adempiere ad obbligazioni contrattuali precedentemente assunte, quali ad esempio il pagamento di una fornitura o della rata di un canone.

In particolare le aziende ci chiedono se, in virtù dei ben noti provvedimenti restrittivi governativi, sussistano “impossibilità e/o cause di forza maggiore” alle quali fare riferimento per valutare la legittimità o meno degli inadempimenti agli impegni commerciali, con conseguente esclusione della responsabilità contrattuale.

L’argomentazione che segue ha come punto di partenza l’art. 1218 c.c. che disciplina la responsabilità del debitore, sancendo che qualora quest’ultimo non esegua esattamente la prestazione dovuta, “è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, intendendosi come tali, di norma, il caso fortuito o la forza maggiore.

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Evento imprevedibile o inevitabile

Più precisamente, il caso fortuito va inteso come un evento imprevedibile e inevitabile, che impedisce il regolare adempimento del debitore, salvo la colpa dello stesso.

Sussiste, dunque, impossibilità oggettiva e assoluta quando il soggetto dotato della diligenza normale o qualificata non avrebbe previsto il verificarsi dell’evento e, anche una volta verificatosi l’evento, non avrebbe potuto in alcun modo contrastarlo.

Invece, la forza maggiore, seppur in assenza di una precisa definizione normativa, può essere ritenuta come la cosiddetta vis maior cui resisti non potest, cioè quella forza esterna che determina la persona a compiere un’azione o un’omissione cui questa non può opporsi.

Causa di Forza Maggiore, quali sono i requisiti

Due sono i requisiti richiesti affinché un evento possa definirsi “causa di forza maggiore”: la straordinarietà e la sua imprevedibilità, ove il primo ha carattere oggettivo, dovendosi trattare di un evento anomalo e quantificabile sulla base della sua intensità e dimensione, mentre il secondo ha natura soggettiva, riguardando la capacità conoscitiva e la diligenza della parte contraente “media”, cioè prendendo a modello il comportamento della persona media, che versi nelle medesime condizioni (Cass., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12235).

Ad essi si aggiungano per meglio comprenderne la portata le tre caratteristiche principali individuate dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili, ai sensi della quale, affinché si possa applicare l’ipotesi della forza maggiore è necessario che l’accadimento sia estraneo alla sfera di controllo dell’obbligato; l’evento sia imprevedibile al momento della stipulazione del contratto e il fatto impedente o i suoi esiti siano insormontabili.

Inadempimento per cause di forza maggiore

Il 2° comma dell’art 79 prevede l’esonero da responsabilità anche nel caso in cui l’inadempimento di una parte sia dovuto all’inadempimento di un terzo da essa incaricato (ad esempio un sub-fornitore), purché sussistano le condizioni sopra viste.

L’impossibilità della prestazione in presenza di caso fortuito o forza maggiore rappresenta, dunque, una causa di liberazione del debitore e di esonero da responsabilità contrattuale.

Il Coronavirus è una causa di forza maggiore?

Tornando alla realtà attuale, nel caso del coronavirus, la sua espansione può certamente essere intesa come un evento di forza maggiore, intendendosi con ciò una forza tale alla quale non è oggettivamente possibile resistere, rilevando quale causa di esonero da responsabilità.

In materia di responsabilità contrattuale, è opportuno distinguere tra contratti a prestazione istantanea, che si concludono con l’esecuzione della prestazione dovuta, dai contratti a prestazione continuata e/o periodica (cd. contratti di durata), nei quali le prestazioni contrattuali si sviluppano nel tempo.

Partendo dai primi, per essi è generalmente prevista l’estinzione dell’obbligazione quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione è divenuta impossibile (art. 1256 c.c.). Qualora, invece, l’impossibilità fosse soltanto temporanea “…il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”.

Dalla lettura congiunta degli artt. 1256 e 1467 c.c. che regolano i rapporti contrattuali nei casi di impossibilità sopravvenuta ed eccesiva onerosità che generino un ritardo o una totale impossibilità nell’esecuzione della prestazione, emerge poi come la parte sia sollevata da responsabilità e possa chiedere la risoluzione del contratto, a causa di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, dandone comunicazione alla controparte, ferma restando la preferibilità di un accordo raggiunto fra le parti, teso a raggiungere un compromesso, come, ad esempio, la mera sospensione del contratto, con conseguente dovere di adempiere le rispettive prestazioni non appena sarà cessata l’emergenza.

Quindi, un’epidemia come quella in questione, costituisce sicuramente una causa di forza maggiore che giustifica un mancato e/o diminuito adempimento di un’obbligazione, potendo giustificare anche lo scioglimento del contratto.

Ciò anche in considerazione del fatto che tra le possibili cause rientrano gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa, dettati da interessi generali, che rendono impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. In questo caso si parla di circostanza esimente della responsabilità del debitore, a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere e per poter determinare l’impossibilità della prestazione, gli ordini o i divieti emanati dall’autorità devono essere del tutto estranei alla volontà dell’obbligato (Cass. Civ. sent. n. 21973/2007) e non ragionevolmente prevedibili, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione (Cass. Civ. sent. n. 2059/2000).

L’ambito turistico e dei trasporti

In materia turistica il legislatore ha espressamente previsto all’art. 41 comma 4 del relativo Codice: In caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione, il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto, senza corrispondere spese di recesso, ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare.

La Corte di Cassazione (sent. n. 18047 del 10/07/2018) ha già fatto applicazione di questo principio per cui: indipendentemente dal fatto che il cliente abbia sottoscritto o meno un’assicurazione sul viaggio, se per impossibilità sopravvenuta non potrà più partire, deve in ogni caso essere rimborsato, purché questi fatti non siano a lui imputabili.

Il recente decreto legge n. 9/2020, all’art. 28, prevede che “… ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 cc, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di trasporto aereo, ferroviario e marittimo” per i viaggiatori destinatari di un provvedimento di divieto di allontanamento nelle aree interessate dal contagio, per quelli in quarantena o ricoverati presso strutture sanitarie, nonché per quelli i cui soggiorni o viaggi prevedevano la partenza o l’arrivo nelle aree interessate dal contagio.

Essendo stata estesa a tutta Italia l’area interessata dal contagio, ne consegue che tutti i viaggiatori hanno diritto ad ottenere il rimborso del corrispettivo versato per il titolo di viaggio ovvero all’emissione di un voucher di pari importo.

Anche in assenza della specifica e recente previsione legislativa, si sarebbe applicata la medesima disciplina, essendo ormai consolidata la giurisprudenza della Corte di Cassazione per la quale, in tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché ciò non sia imputabile al creditore-consumatore.

In altri termini, sia che la prestazione sia divenuta impossibile (cancellazione del volo) sia che la stessa sia dovuta inutilizzabile (impossibilità di usufruire della stessa) l’effetto giuridico è il medesimo: sorge un obbligo di restituzione di quanto già eventualmente già corrisposto per la prestazione (rimborso di quanto pagato).

I contratti di durata

Passiamo, ora, alla seconda tipologia di contratti summenzionata, i contratti di durata, i quali possono prevedere una prestazione ad esecuzione periodica, ove l’oggetto del contratto è costituito da più prestazioni effettuate in momenti diversi (ad esempio un contratto di somministrazione di una rivista), ovvero una prestazione ad esecuzione continuata, ove gli effetti si prolungano nel tempo e la prestazione è unica ed ininterrotta (ad esempio la locazione).

In questi casi, dal verificarsi di una causa di forza maggiore che impedisca l’esecuzione della prestazione, possono derivare tre diverse conseguenze:

  1. la sospensione del contratto,
  2. la risoluzione
  3. la rinegoziazione.
Sospensione del contratto

Affinché si realizzi la prima ipotesi, è necessario che la parte la cui prestazione sia divenuta temporaneamente impossibile, ne dia tempestiva comunicazione alla controparte, utilizzando uno strumento che fornisca la prova dell’avvenuta ricezione della comunicazione (ad esempio pec o raccomandata a/r). La sospensione – che implica il “congelamento” del contratto, fintanto che non ritorni possibile darvi esecuzione – si fonda sulla persistenza dell’interesse in capo ad entrambe le parti a completare l’esecuzione del contratto non appena possibile.

Risoluzione del contratto

Il secondo scenario che potrebbe realizzarsi è costituito dalla risoluzione del contratto. Essa potrebbe essere conseguente al rifiuto della controparte di sospendere o rinegoziare il contratto, così come al caso in cui, nonostante la precedente sospensione, la prestazione risulti ancora impossibile o sia nel frattempo venuto meno l’interesse di una delle parti alla sua esecuzione.

Rinegoziazione del contratto

Un’alternativa può essere la rinegoziazione del contratto per espressa volontà delle parti, persistendo l’interesse di entrambe alla realizzazione dell’oggetto del contratto.

Dato che nell’ordinamento italiano non vi è alcuna disposizione che ne preveda l’obbligatorietà, essa sarà frutto della mera volontà delle parti, salvo il caso in cui l’obbligo di rinegoziazione fosse stato inserito nel contratto con un’apposita clausola.

Dunque, la rinegoziazione delle condizioni contrattuali è rimessa alla buona fede delle parti, che potranno concordare un differimento della data di esecuzione della prestazione, una rinegoziazione dei prezzi e/o una modifica delle condizioni originariamente previste, fino all’eventuale risoluzione consensuale se non mutano le circostanze impeditive della prestazione entro un dato tempo stabilito dalle parti medesime.

Un discorso diverso varrà, invece, per altri contratti in cui la regolare fruizione del bene o del servizio non subisce delle variazioni o delle limitazioni durante questo stato di emergenza, come avviene, ad esempio, in un contratto di locazione ad uso abitativo.

In questi casi, dunque, il pagamento del canone dovrà essere effettuato normalmente, non potendosi addurre l’epidemia o il provvedimento dell’autorità quali cause di forza maggiore per giustificare la sospensione o la risoluzione del contratto, sicché l’inquilino dovrà comunque pagare il canone alla scadenza pattuita.

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