Casi e modalità per il recupero del sottotetto da parte del proprietario dell’ultimo piano.

La legge 11 dicembre 2012 n. 220 ha modificato l’art. 1117 del Codice Civile, ricomprendendo tra le parti comuni degli edifici il “sottotetto destinato, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune”.

Questa previsione si uniforma alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, che anche in tempi recenti, con la sentenza n. 11184 del 2017, ha avuto occasione di ribadire come, in assenza di esplicite statuizioni sulla proprietà del sottotetto nel titolo d’acquisto dell’appartamento o nel regolamento condominiale, debba presumersi la comproprietà dello stesso quando esso risulti, per le sue caratteristiche, obiettivamente (perché funge ad esempio da lavanderia o stenditoio) o potenzialmente destinato all’uso comune o all’esercizio di un interesse condominiale.

Il medesimo discorso vale a maggior ragione quando il sottotetto assolva esclusivamente alla funzione di copertura dell’edificio, rientrando sostanzialmente nella nozione di tetto e quindi nella presunzione di comunione di cui all’art. 1117.

Il condomino interessato potrebbe comunque acquistare il sottotetto mediante delibera assembleare approvata all’unanimità, purché la vendita non incida sull’utilizzo delle altre parti comuni.

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Sottotetto, possesso ad usucapionem

La giurisprudenza è altresì concorde nel ritenere che il sottotetto sia invece da considerarsi pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano quando non sia di dimensioni tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo e assolva alla sola ed esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo da caldo, freddo e umidità tramite la creazione di una camera d’aria. Si pone pertanto in un rapporto di dipendenza con lo stesso, tant’è che quand’anche utilizzato dal proprietario di un’altra unità immobiliare non verrebbe comunque a configurarsi un possesso ad usucapionem (come, d’altronde, non potrebbe configurarsi se il sottotetto fosse in comunione).

Sottotetto esclusivo e ristrutturazione a fini abitativi

Qualora il sottotetto fosse di esclusiva proprietà del condomino dell’ultimo piano questi potrebbe quindi procedere a ristrutturarlo a fini abitativi?

Sarà anzitutto necessario verificare se sia vietato dal regolamento condominiale o da successive deliberazioni assembleari adottate all’unanimità. Se questi non pongono limiti alla facoltà di godimento, utilizzazione e destinazione del sottotetto, l’inquilino dovrà in seguito consultare la normativa regionale di riferimento per accertarsi dell’ammissibilità dell’intervento per il suo edificio, in base a tipologia, anno di costruzione e destinazione d’uso.

In presenza dei suddetti requisiti il proprietario potrà iniziare i lavori in seguito alla presentazione di Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e corresponsione del contributo di costruzione.

Il progetto di ristrutturazione dovrà tenere conto delle possibili interazioni con eventuali edifici contigui e garantire il rispetto dei requisiti di rendimento energetico degli edifici, la piena conformità dell’intervento alla normativa tecnica delle costruzioni, anche per quanto concerne gli aspetti statici e antisismici, e la presenza delle condizioni igenico-sanitarie di abitabilità del locale.

Per la regione Emilia Romagna la legge 6 aprile 1998 n. 11 stabilisce in particolare che l’altezza media sia di almeno m. 2,40, ridotta a m. 2,20 per i comuni montani e per i locali adibiti a servizi (corridoi, bagni, ripostigli e disimpegni) e che il rapporto aeroilluminante non sia inferiore a un sedicesimo. Infine, occorrerà modificare le tabelle millesimali per il rendiconto condominiale.

Il proprietario dell’ultimo piano potrà pertanto procedere al recupero del sottotetto a fini abitativi di sua pertinenza senza chiedere specifica autorizzazione agli altri condomini, purché la ristrutturazione non comporti modifiche di parti comuni dello stabile o del suo aspetto esteriore. Di conseguenza gli altri inquilini saranno legittimati ad opporsi a lavori che non ledano le loro facoltà di godimento dell’immobile e nemmeno comportino spese soltanto qualora gli stessi possano causare pregiudizi “alla sicurezza o alla stabilità dell’edificio o comunque danni che potrebbero conseguire dal concreto svolgimento delle attività inerenti alla nuova destinazione”.

(sentenza del Tribunale civile di Piacenza n. 160 del 2 febbraio 1995)